Anthony Shadid, 43 anni, corrispondente per varie testate internazionali (The New York Times, The Washington Post, The Boston Globe e The Associated Press) è morto il 16 febbraio in Syria, apparentemente per un attacco di asma. Ne ha dato notizia proprio il The New York Times con un articolo in cui riferisce che Shadid è stato poi accompagnato in Turchia dall’amico e fotografo Tyler Hicks.

Si trovava in Syria dove raccoglieva informazioni e notizie sulla repressione operata dal regime di Bashar al-Assad. Si è reso necessario trasportare di nascosto il suo corpo in Syria perché il regime siriano non era stato informato dal The Times in merito a questo ennesimo incarico. Non sono però chiare le circostanze che lo avrebbero condotto alla morte. Il giornale è stato avvisato con una mail di Jill Abramson, direttore esecutivo, il cui testo sarebbe più o meno: “Anthony è morto come ha vissuto, determinato a testimoniare la trasformazione radicale del Medio Oriente e per testimoniare la sofferenza del popolo in bilico tra oppressione del governo e le forze di opposizione“.

Shadid era giunto in Syria inserendosi in una rete di contrabbandieri, giunto in Syria insieme al fotografo Tyler Hicks, hanno attraversato una zona montuosa di frontiera nella notte per non farsi scoprire dai miliziani. Ma già alla prima notte il giornalista avrebbe avuto un attacco d’asma, sedato grazie ai farmaci che portava sempre con sé. Diversi altri attacchi lo avrebbero colpito nei giorni precedenti fino all’ultimo fatale.

Shadid era americano di origini libanesi, era sposato e lascia moglie e due figli. Nel 2004 aveva vinto il Premio Pulitzer per la segnalazione internazionale dell’intervento americano in Iraq. Sempre grazie ai suoi reportage dall’Iraq aveva vinto nuovamente il Pulitzer nel 2010. Recentemente per il Times aveva seguito i moti della Primavera Araba nell’anno passato.

Come ogni reporter dalle zone di guerra aveva avuto non pochi problemi. Nel 2002, mentre lavorava per The Globe, è stato colpito e ferito alla spalla mentre camminava in una strada di Ramallah. Durante le proteste al Cairo dello scorso anno che hanno portato alla caduta del presidente Hosni Mubarak, Shadid è stato braccato dalla polizia  e durante un raid ha dovuto nascondere i computer utilizzati dai giornalisti del Times. Salvando così il lavoro proprio e dei colleghi. Ma non potendo comunque evitare l’arresto e circa una settimana di carcere.

Il prossimo mese uscirà il suo ultimo libro “La casa di pietra”, qui ha scritto: Questo era diventato il mio pane quotidiano come reporter durante la guerra in Medio Oriente documentando, i sopravvissuti e i morti, e molti che sembrano un po’ di entrambi. Nella città libanese di Cana, dove le bombe israeliane hanno preso le loro vittime nel bel mezzo di una mattinata di lavoro, abbiamo visto la morte in piedi, seduta, guardarsi intorno. Il borgo, le sue voci e storie, piatti e ciotole, lettere e parole, la sua storia, tutto era stato cancellato in pochi attimi infiniti che frantumarono una mattina tranquilla”.

Luigi Asero

 

 

 

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Mi piace ascoltare, non semplicemente sentire. Il dialogo non è "parlare" ma consentire alle anime di incontrarsi

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