Era il 2 ottobre del 2004. Una donna tampona lievemente un’auto. Da quest’auto scendono due uomini che la aggrediscono, in sua difesa interviene il marito, un onesto lavoratore 37enne Simone La Mantia, che prova a spiegare come in fondo non sia un gran danno e comunque si può fare l’assicurazione. I due “uomini” non sentono ragioni aggredendolo a calci e pugni fino a farlo cadere in uno stato d’incoscienza che prelude alla morte, avvenuta poi durante il trasporto in ambulanza. Simone La Mantia lasciò così, banalmente, la moglie di 33 anni e 4 figli.
Sono passati quasi due anni da quel giorno, la “giustizia” ha fatto il suo corso.
L’assassino Salvatore Mannino di Palermo, contitolare assieme al figlio Natale di un’agenzia di pompe funebri, è stato condannato a sei anni di reclusione con l’accusa di omicidio preterintenzionale grazie al rito abbreviato. E al pagamento di 150.000 € a titolo di risarcimento per un papà, un marito, un essere umano che non c’è più.
Ancor più grave come questa “giustizia” iniziò subito il suo corso con l’arresto di padre e figlio, scarcerandoli però appena quattro mesi dopo perché “non c’è il rischio che siano inquinate le prove”. Ora il figlio non è punibile perché si è limitato a ingiuriare la vittima senza “partecipare attivamente” all’aggressione fisica, come se –viceversa- avesse fatto qualcosa per fermare la mano assassina del padre.
La moglie ora vuol lasciare Palermo, vive assieme ai suoi figli vicino all’agenzia in questione e chiede semplicemente di non voler più vedere chi ha ucciso, senza tentare neanche un dialogo, l’uomo che amava… Palermo è una città meravigliosa, ma come dar torto a questa giovane sventurata donna?
Di casi del genere giornalmente ne sentiamo tanti, troppi… Ci stuferemo mai di questo Stato incapace di proteggere i suoi cittadini dalla barbarie di “uomini” di tal portata?
Luigi Asero
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