di Luigi Asero

La parola “guerra” risuona nei titoli di tutti i principali giornali italiani ed europei. Gli attentati di martedì mattina a Bruxelles hanno risvegliato questo termine tanto odiato dai popoli europei. Troppo presi dall’opulenza (e dalla crisi contemporaneamente) occidentale. O troppo pavidi. Di fatto c’è che per oggi, come nei giorni immediatamente successivi al 13 novembre 2015 (stragi di Parigi) si parla di guerra all’Europa. Come al solito perdendo di vista almeno una serie di punti di riferimento. Nelle scelte degli attentatori mai nulla è infatti lasciato al caso. Non quando si pianificano attentati di questa portata.

Il terrore. Questo è il primo obbiettivo di un terrorista, di un’organizzazione a sfondo terroristico. E l’Isis o Daesh o Califfato Islamico, questo è. Un’organizzazione del terrore. Con dietro un codazzo di come e di perché. Difficile comprendere le ragioni di quelle aziende produttrici di armi occidentali che li riforniscono di armi (il lucro, certo, ma non sarebbe sufficiente come spiegazione solo il lucro), difficile comprendere le ragioni di quegli Stati che (quasi certamente) ne acquistano il petrolio e il gas al mercato nero, difficile comprendere anche la mancanza di risolutezza della politica europea e americana per far fronte comune contro quello che si presenta come un “nemico comune” (ma evidentemente forse non lo è abbastanza…). Potremmo sbagliare nelle nostre analisi, ma sembra che non ci sia sufficiente consapevolezza del pericolo jihadista. O ci sia e si aspetti per sfruttarne meglio l’onda in base a chissà quali concezioni di “dominio” sui popoli terrorizzati.

Aeroporto di Bruxelles

Gli obbiettivi. Riduttivo dire che l’obbiettivo era il Belgio o il “cuore dell’Europa”. I check-in scelti dai due kamikaze erano infatti quelli dell’American Airlines all’aeroporto, mentre il vagone della metropolitana fatto esplodere sembra una vendetta per l’arresto del latitante Salah Abdeslam arrestato proprio in quella zona appena cinque giorni fa. Difficile ipotizzare che questi attentati di oggi siano una vendetta per quell’operazione (la loro preparazione richiederebbe tempi ben maggiori) ma facile invece ipotizzare che la guerra asimmetrica di matrice jihadista abbia già una serie di tipologie di attentato pronte all’uso. Per spiegarci meglio: facile che nella strategia terroristica ci sia già una serie di possibili attentati pronti e pianificati e che possono manifestarsi a date imprecisate (ma che forse hanno una precisa simbologia che a noi sfugge allo stato attuale delle conoscenze) e che possono attuare in quasi completa autonomia eventuali cellule dormienti. Nell’arresto di Salah è stato ucciso per esempio un uomo che risultava pregiudicato ma che era sconosciuto agli ambienti dell’antiterrorismo. L’Isis disporrebbe cioè di molti più uomini di quanti non siano realmente conosciuti all’Intelligence europea. Come è possibile ciò? Sarebbe plausibile se i suoi piani non fossero frutto di pochi anni di preparazione bensì di decenni di sottobosco. Così si potrebbero spiegare decine di uomini e donne sconosciuti, con una vita magari irreprensibile pronti poi a eseguire il loro compito al momento opportuno. Come le spie di una volta delle grandi Potenze ai tempi della Guerra Fredda.

esplosioni-aeroporto-bruxelles-persone-feriteVa poi ricordato a tutti i lettori quanto non sia vero che l’Isis attacchi l’Europa attaccando Bruxelles. L’Isis ha interesse ad attaccare non soltanto l’Europa ma chiunque non sia alleato al suo fanatismo. Infatti, se è vero che oggi si piangono i morti di Bruxelles come il 13 novembre si piangevano quelli di Parigi, in effetti quasi non passa giorno che in qualche parte del mondo il terrorismo di matrice islamista (Isis, Daesh, Boko Haram, Al Qaeda) non colpisca obbiettivi. Dalle stragi di Ankara a quelle in Nigeria, dalla Siria all’Iraq. Il copione è sempre lo stesso. Si colpisce nel mucchio e non si colpisce solo la cristianità ma spesso anche gli stessi islamici, magari non estremisti. Rei di non esserlo, estremisti. Si bruciano chiese e si uccide nelle moschee di Nigeria e Tunisia o Egitto. L’Isis sta compiendo una sua personale “guerra mondiale” e ha saputo infiltrarsi in quasi ogni parte del mondo. C’è in quel mondo che odia con persone che in quei territori spesso sono nati e vissuti (e cade quindi la storiella delle “espulsioni”), c’è con un supporto mediatico spesso affidato ai social network ma iper-tecnologico. Tanto tecnologico da far pensare che dietro ci siano uomini e videomaker occidentali.

Parlare di “guerra” oggi e pensare come affrontarla segna la sconfitta di decenni di dis-integrazione culturale e civile dell’intero mondo occidentale. La guerra ci è stata dichiarata già da anni, ma non comprendiamo su quale trincea si gioca. A ogni attacco dichiariamo quindi che “ci hanno dichiarato guerra”. Poi, domani, passiamo avanti e fingiamo di non conoscerne le regole.
Fino al prossimo attentato, fino alla prossima “dichiarazione”. E la ruota gira… a favore di chi? Chi sarà il prossimo? Quale Paese piangerà la sua “dichiarazione di guerra”?

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Mi piace ascoltare, non semplicemente sentire. Il dialogo non è "parlare" ma consentire alle anime di incontrarsi

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