di Luigi Asero
La corsa al Campidoglio è ormai ufficialmente partita, diversi i candidati in campo, qualcuno gradito, qualcuno meno, al grande elettorato. La poltrona da sindaco di Roma è certamente una delle più ambite a livello nazionale e sederne (con onore) fa del candidato scelto dai cittadini un vero “privilegiato”. Tanti sono gli onori e tanti gli oneri di una simile “poltrona” amministrativa.
Come dicevamo la corsa è ormai partita, ma sembra più una corsa a ostacoli, una corsa “alla moviola” dove tutto è rallentato e ogni candidato cerca di capire le mosse degli altri. Come ogni competizione elettorale c’è in mezzo tanto populismo, voglia di farsi vedere ed emergere, voglia di sentirsi acclamati. Ma la vera voglia che emerge, a dircela tutta, è solo quella di una personale pubblicità. Alla persona o allo schieramento di appartenenza. La voglia di fare il sindaco della Capitale d’Italia (la Caput Mundi addirittura fino a qualche annetto fa…) sembra invece non avercela nessuno.
Troppo pesante il fardello che si eredita dal passato, troppo grandi le aspettative dell’elettorato e dell’Italia intera. Tutti si aspettano che Roma risorga dalle macerie di Roma Capitale e degli scandali che l’hanno messa in ginocchio. Tutti si aspettano che la città possa con una nuova Giunta Municipale risolvere il problema delle buche e dei trasporti, del traffico caotico e delle periferie, ospitare le Olimpiadi e non temere attacchi terroristici (cosa che non è di competenza comunale ma il cittadino comune nel calderone ci mette tutto, anche le liti condominiali).
Così la classe politica, prima responsabile del “disastro Roma”, parla (unica cosa in grado di fare) e propone finte soluzioni, ma in realtà tutto è funzionale a un tentativo di emersione per le prossime elezioni politiche del 2018. Di Roma sembra non interessare nulla a nessuno. Troppo alto il debito del Comune, troppo strette le maglie della “spending review”, troppo attento l’occhio degli investigatori (e meno male, sia chiaro), ma soprattutto troppo debole la stoffa dei candidati in campo. O per inesperienza o per incapacità ci troviamo di fronte un manipolo di “parolai” che non hanno in effetti idea di come si possa gestire la città. Fra interessi contrastanti (di quanti finora hanno “pappato” e bene) e di quanti richiedono invece più civiltà e servizi, in primis le classi più disagiate già stroncate dalla crisi.
E poi c’è il problema della criminalità diffusa, il rischio del terrorismo di matrice jihadista, la situazione di stasi economica (ben lontana dalla più volte annunciata “uscita dalla crisi”).
Insomma, Roma è diventata una poltrona troppo calda e i candidati sembra stiano facendo tutto per perdere, invece che per vincere. Abbiamo assistito in questi giorni addirittura a un Silvio Berlusconi che a parole appoggia il “suo” Guido Bertolaso ma poi si complimenta per la preparazione della candidata del Movimento 5 Stelle, così come a una esponente del Pd che “chiede scusa” per l’atteggiamento delle finte primarie del suo stesso partito, alla coalizione di centro-destra in cui Giorgia Meloni prima si candida, poi si ritira in attesa di lieto evento e ora si ricandida a lieto evento in corso, a chi propone soluzioni rispetto a una città che non conosce. Intanto la magistratura continua a svelare scandali e a ordinare arresti.
Il dubbio, se ci consentite (e potremmo sbagliare) diventa lecito: vogliono veramente vincere o la “patata-Roma” è così bollente che tutti ritengono sia meglio lasciarla “scuocere” e morire lì, con tutta la città?
E un altro dubbio, da siciliani lo azzardiamo con un occhio alla nostra terra. E se questa situazione è tale a Roma, cosa accadrà in Sicilia quando si dovrà rinnovare l’Assemblea Regionale Siciliana post-Crocetta? Si salvi chi può!