Parliamo ogni giorno di numeri, aridi, sterili. Sono numeri di vittime che -ormai è stato detto da tutti- muoiono da sole, senza familiari. Soli in un letto di terapia intensiva o di rianimazione. Qualcuno poco prima d’essere intubato è riuscito a mandare un ultimo messaggio ai familiari, capendo che potrebbe finire tutto lì. In quel letto. In una bara che nessuno vedrà se non il forno crematorio, sempre più spesso nemmeno quello della propria città.

I numeri sono drammatici, ma non rendono bene l’idea. Le persone non sono, non siamo, “numeri”. Siamo nomi e cognomi, affetti, vita vissuta (bene o male). Ma gli aridi numeri non rendono l’idea. Così proviamo a riepilogare almeno qualche storia, brevemente, per il poco che abbiamo potuto raccogliere. Per non dimenticare.

Mario D’Orfeo, 55 anni, arruolato nell’Arma dei Carabinieri nel 1983 era comandante della Stazione Carabinieri di Villanova d’Asti. Aveva lavorato anche al Nucleo Radiomobile. È una delle ultime vittime, si è spento questa mattina ad Asti, sarà conteggiato nel bilancio pomeridiano della Protezione Civile Nazionale. A Villanova era giunto nel 2015. Originario di Chieti lascia tre fratelli, uno di essi Carabiniere in pensione.

Adriano Trevisan, 77 anni. È toccato a lui essere il “primo”. La prima vittima italiana di coronavirus un tragico venerdì 21 febbraio, la sua morte annunciò all’Italia come il virus era ormai fra noi, letale. Adriano è morto all’ospedale di Schiavonia, era di Vo’ in provincia di Padova. Del paese Vanessa è stata sindaco in passato, di Adriano racconta la figlia Vanessa. Adriano di figli ne aveva tre e si godeva la loro crescita insieme all’amata moglie Linda. Ora che era pensionato era un nonno felice, Nicole e Leonardo hanno provato ad aspettarlo. Ma a Vo’, Adriano, da quell’ospedale in cui è rimasto una decina di giorni, non è tornato più.

Antonio Perin, di Villafranca Padovana, morto il 17 marzo. Appena tre mesi fa aveva pianto la perdita dell’amata moglie Maria Teresa andata via con un male incurabile. Adesso lascia il vuoto nei familiari. Una vita semplice, la famiglia cresciuta grazie al suo lavoro di rivendita di frutta ma anche una grande e incrollabile Fede in Dio. La sua compagnia negli ultimi giorni in ospedale.

Virgilio Venturi, 91 anni. Lui è la prima vittima a Badia Tedalda. Il 21 marzo si è spento all’ospedale di Arezzo. Era un amico per tutta la comunità dove si era mostrato sempre molto attivo e fatto voler bene da tutti.

Luciana Mangiò, 76 anni. Il 26 febbraio si è spenta nel trevigiano. Da anni era molto sofferente e isolata da tutti, con lei solo una badante dell’Est europeo. Poi il virus e il suo nome in cronaca. Così tanti si sono ricordati di lei. Lei che tanti ragazzi aveva curato durante gli anni in cui con amore aveva insegnato al liceo “Duca degli Abruzzi” di Treviso dall’inizio degli anni ’70. Luciana si era trasferita a Treviso per quel lavoro che amò, che la portò a lasciare la provincia di Messina di cui era originaria.

Teresa Bellomi Bignamini, 74 anni. Si è spenta il 3 marzo ed è la prima vittima del milanese. Si è spenta all’ospedale Sacco di Milano, vicino la sua Melegnano dove da tutti era conosciuta essendo una commerciante storica come storica è la panetteria che con il marito aveva aperto in paese. Che da alcuni anni è gestita dal figlio Alessandro. Anche il marito era ricoverato in gravi condizioni. Non siamo in grado di fornire però indicazioni in merito.

Gabriella Guerini, 74 anni. Si è spenta all’ospedale Garibaldi Nesima di Catania. Gabriella era molto nota a Catania, una lottatrice che si era esposta nella lotta al racket delle estorsioni, un simbolo e presidente storica dell’associazione “Antiracket Antiusura Etnea” di Sant’Agata Li Battiati.

Sono soltanto 6 nomi. Sei storie brevi. In rappresentanza delle (finora) 9.134 vittime italiane. E poi ci sono le vittime nel mondo. Chloe Middleton che è morta nel Regno Unito, sana, ad appena 21 anni in attesa dell’ “immunità di gregge” in un primo tempo invocata dal premier Johnson e c’è lo shock francese di Julie. Anch’essa sana, senza patologie. Morta ieri in Francia. A 16 anni

E poi ancora… Stefano, Maurizio, Maria Teresa, Laura, Andrea, Lucia Bosè, medici, operatori sanitari, lavoratori del 118, Vigili del Fuoco, pensionati, giovani, malati, sani. Non c’è più tempo neanche per le storie. E questo è il peggior danno di questo coronavirus-Covid19: ci sta togliendo anche l’identità. Nomi, volti, storie, età. Tutto in campi di terra enormi o in anonimi forni crematori. Intorno a tutto ciò lo smarrimento di chi resta senza neanche capire “perché”.

Articolo originale
Foto: il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla
Massimo Camisasca benedice le tombe. (Stampa Reggiana)

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Mi piace ascoltare, non semplicemente sentire. Il dialogo non è "parlare" ma consentire alle anime di incontrarsi

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