di Luigi Asero

 

Le festività sembrano non portare bene ai governi presieduti da Giuseppe Conte. Dopo le dimissioni ferragostane di Matteo Salvini, che portarono alla crisi del primo governo Conte arrivano per Natale le dimissioni del ministro per l’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, già noto per la “tassa sulle merendine”. Non porteranno alla caduta del governo (in questo caso infatti non si sfila un’intera compagine politica) ma segnano un punto assolutamente negativo sulla bontà politica del governo in carica. Fioramonti infatti lascia facendo precise e dettagliate accuse all’Esecutivo, colpevole di recuperare centinaia di milioni di euro in poche ore per altre finalità politiche ma di non aver saputo garantire nemmeno la soglia minima al ministero da lui presieduto e che rappresenta invece il vero motore del Paese, l’Istruzione appunto.

Fioramonti chiarisce: “Prima di prendere questa decisione, ho atteso il voto definitivo sulla Legge di Bilancio, in modo da non porre tale carico sulle spalle del Parlamento in un momento così delicato. Le ragioni sono da tempo e a tutti ben note: ho accettato il mio incarico con l’unico fine di invertire in modo radicale la tendenza che da decenni mette la scuola, la formazione superiore e la ricerca italiana in condizioni di forte sofferenza. Mi sono impegnato per rimettere l’istruzione – fondamentale per la sopravvivenza e per il futuro di ogni società – al centro del dibattito pubblico, sottolineando in ogni occasione quanto, senza adeguate risorse, fosse impossibile anche solo tamponare le emergenze che affliggono la scuola e l’università pubblica“.

La lettera di dimissioni è stata consegnata al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lo scorso 23 dicembre, ma soltanto ieri il ministro l’ha resa nota con un lungo e preciso post su Facebook di cui riportiamo qui alcuni passaggi salienti, post che ha confermato rumors di stampa che echeggiavano all’interno del Transatlantico.

L’economia del XXI secolo si basa soprattutto sul capitale umano, sulla salvaguardia dell’ambiente e sulle nuove tecnologie; non riconoscere il ruolo cruciale della formazione e della ricerca equivale a voltare la testa dall’altra parte. Nessun Paese può più permetterselo. La perdita dei nostri talenti e la mancata valorizzazione delle eccellenze generano un’emorragia costante di conoscenza e competenze preziosissime, che finisce per contribuire alla crescita di altre nazioni, più lungimiranti della nostra. È questa la vera crisi economica italiana

Fioramonti sa che nel governo del no a qualsiasi dissenso sarà aspramente criticato e chiarisce ulteriormente: “Alcuni mi hanno criticato per non aver rimesso il mio mandato prima, visto che le risorse era improbabile che si trovassero. Ma io ho sempre chiarito che avrei lottato per ogni euro in più fino all’ultimo, tirando le somme solo dopo l’approvazione della Legge di Bilancio. Ora forse mi criticheranno perché, in coerenza con quanto promesso, ho avuto l’ardire di mantenere la parola. Il tema non è mai stato ‘accontentare’ le mie richieste, ma decidere che Paese vogliamo diventare, perché è nella scuola, su questo non vi è alcun dubbio, che si crea quello che saremo”. In ogni caso “il mio impegno per la scuola e per le giovani generazioni non si ferma qui, ma continuerà – ancora più forte – come parlamentare della Repubblica Italiana“.

E “alle ragazze ed ai ragazzi che fanno vivere la scuola e l’università italiana chiedo di non dimenticare mai l’importanza dei luoghi che attraversano per formarsi, senza arrendersi alla politica del ‘non si può fare’. Come diceva Gianni Rodari, dobbiamo imparare a fare le cose difficili. Perché a volte bisogna fare un passo indietro per farne due in avanti”. “Alle persone con cui ho lavorato, dentro e fuori dal Ministero, dalla viceministra e sottosegretari ai tanti docenti, sindacati, imprese e fino all’ultimo dei dipendenti, va tutto il mio ringraziamento per avermi accompagnato in questo percorso”, aggiunge il ministro dimissionario“.

Secondo alcuni calcoli per rimettere veramente in sesto il pianeta scuola servirebbero 24 miliardi di euro, Fioramonti da mesi si è battuto perché nella Legge di Bilancio appena approvata ne fossero stanziati non meno di tre, a stento ne ha ottenuti due (cioè ben il 33% in meno di quanto stimato come essenziale), così Lorenzo Fioramonti rimette il mandato e forse -si vocifera- lascerà anche il gruppo cui aderisce del Movimento 5 Stelle ritenendo di non esser stato aiutato nella sua battaglia politica per il futuro del Paese, perché non c’è dubbio che l’Istruzione rappresenti il futuro del Paese e sembra che tutto marci perché il Paese futuro non abbia.

Le associazioni sindacali hanno commentato con parole durissime: “Difficile commentare le dimissioni del ministro, soprattutto se si fa riferimento al tempo scelto per consegnare la lettera a palazzo Chigi, il giorno di Natale e pochi giorni dopo la sottoscrizione di impegni precisi assunti con le forze sindacali, rappresentative della grande maggioranza di lavoratrici e lavoratori della scuola, dell’Università e della Ricerca“, ad affermarlo il segretario generale della Flc Cgil, Francesco Sinopoli. “Non possiamo però tacere sul fatto che le dimissioni di un ministro, oltre ad avere pesanti conseguenze sul piano politico, hanno ripercussioni soprattutto sul piano istituzionale, a partire dal Quirinale, per finire al Parlamento chiuso per ferie, e dunque impossibilitato a dibatterle nel merito. Proprio perché lo esigono il rispetto istituzionale, e la normale prassi costituzionale, dunque, non esistono riscontri nella storia della Repubblica, di ministri dimissionari il giorno di Natale”.

La colpa pertanto sarebbe del ministro Fioramonti che, aprendo un caso che non ha precedenti storici, crea difficoltà e non invece anche della politica che ha costretto il suo ministro ad assumere una posizione tanto drastica.

Come al solito i sindacati, insieme alla politica, sono distanti anni luce dalla realtà vissuta dal Paese. E se il Paese vive una realtà drammatica di “qualcuno” la colpa dovrà pur essere. O forse è “dolo”?

 

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Mi piace ascoltare, non semplicemente sentire. Il dialogo non è "parlare" ma consentire alle anime di incontrarsi

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