di Luigi Asero

 

Alla fine Cesare Battisti, non più libero fringuello in sudamerica, non più protetto da interi Stati (che dovrebbero adesso spiegare il perché del loro operato), ha confessato. Non tutto, ma tanto. Creando nel mondo della sinistra italiana, in quello intellettuale (o meglio intellettualoide) e appunto in altri Stati (Francia e Brasile e chissà se altri) un certo senso di imbarazzo.

Cesare Battisti chiede scusa, tardivamente, e confessa. Il terrorismo, due omicidi, la partecipazione in altri agguati, le rapine. Lo fa dichiarando di non volersi pentire, rivendicando quel che ha ritenuto “guerra giusta”. Confessa delitti che gli furono attribuiti, come i ferimenti di cui fu ritenuto colpevole. Nei distinguo di intellettual-radical-chic che lo hanno difeso fino al momento della sua cattura. Ha sparato contro l’agente di custodia Antonio Santoro ucciso il 6 giugno 1978 a Udine; ha partecipato al delitto di Sabbadin colpito a Mestre il 16 febbraio 1979, lo stesso giorno dell’agguato mortale contro Torregiani; di aver puntato l’arma e ammazzato Andrea Campagna, poliziotto alla Digos di Milano. E altri reati.

Ritenendo che non ci fossero prove fino al momento della sua cattura ed estradizione in Italia e che lo si perseguitasse in quanto “intellettuale dissidente” e non in quanto “terrorista assassino colpevole”, intellettuali come Piero Sansonetti alla guida de “il Dubbio”  (lo scrisse in un tweet sul suo profilo pubblico), scrissero che non ci sono prove. Parole che andavano a braccetto con l’intellettuale del mondo della gomorra-fiction, Roberto Saviano, che non ne ha commentato opportunamente (o meglio opportunisticamente, al solito) la cattura ma che in tempi precedenti firmò perché Battisti venisse liberato in Francia, poco dopo un suo arresto che portò poi a un nulla di fatto rispetto alla Giustizia italiana.

Fa bene il buon Enrico Mentana che dalle pagine di Open lancia un messaggio: l’Italia oggi dovrebbe pretendere le scuse di Francia e Brasile per averne favorito la latitanza. E se la prende, giustamente, con quegli intellettuali come Bernard Henry Levy e Fred Vargas per averne difeso le posizioni. Però… e degli intellettuali italiani perché non parlarne? Delle ambigue posizioni dei Governi precedenti che si sono succeduti perché non dire? Comodo oggi dire che la “colpa” della sua prolungata latitanza fosse solo di Francia e Brasile.

Secondo i magistrati (che stanno interrogando Cesare Battisti in carcere a Oristano) se è vero che non si pente, ritenendo che quella fosse una “guerra giusta”, è anche vero che oggi si rende conto della follia di quegli anni. Anni in cui, per esempio, i due commercianti uccisi dovevano essere puniti perché erano dei “miliziani”, infatti armandosi contro il rischio di subire rapine “si schieravano dalla parte dello Stato contro la criminalità, quindi andavano puniti”.
Folli aberrazioni mentali che ci richiamano a tempi più moderni, che ci fanno comprendere perché una precisa “parte” sembra voler spingere l’acceleratore per tornare a quel clima. E fa paura.

Per il suo avvocato, Cesare Battisti sarebbe oggi una persona diversa. Una persona che ha capito la follia di quegli anni. Forse, vogliamo credere a lui e al suo legale di fiducia. Ma adesso, se è diverso, e se nell’animo resta intellettuale, sarebbe opportuno che spiegasse ai suoi “compagni di merende” e ammiratori intellettual-chic i suoi errori.

Perché l’impressione è che qualcuno miri a ripeterli. E peggiorarli.

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Mi piace ascoltare, non semplicemente sentire. Il dialogo non è "parlare" ma consentire alle anime di incontrarsi

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