A dirlo sono i fatti. Il nome resta Partito Democratico, ma di fatto è ormai il Partito di Renzi/Boschi, anche perché chiamarlo solo “Pr” sembrava una pernacchia. Le liste sono state ormai formate e una sola certezza aleggia fra gli osservatori (e gli esclusi), questo ormai è il Partito di Matteo Renzi (e Maria Elena Boschi).
Appena quattro ore fa (al momento in cui scriviamo) il segretario Pd Matteo Renzi affida al suo profilo social su Facebook un suo messaggio in cui ringrazia tutti fingendo che non ci sia polemica alcuna con i non candidati. Fingendo come il giorno in cui annunciava che nel caso in cui avesse perso il referendum si sarebbe ritirato per sempre dalla scena politica. Sappiamo che il suo “grazie” non mette a tacere né i suoi oppositori (e questo è normale) né tanto meno i tanti che pensavano di poter contare sul seggio promesso e del quale ogni speranza è svanita. Non che ci dispiaccia, sia chiaro, per molti di questi personaggi l’oblio dovrebbe scendere il prima possibile.

È, però, come sempre il metodo che ci lascia dubbiosi. Perché con lo stesso metodo poi si governa.

Nel suo messaggio Renzi dice fra le altre cose: “Grazie a chi ha accettato di candidarsi, grazie a chi ci ha detto di no con motivazioni varie (tanti, più di quelli che sono stati resi pubblici), grazie a chi continuerà il proprio lavoro in Parlamento e grazie a chi con la prossima legislatura lascerà il proprio incarico.

Siamo gli unici a pensare che le liste formate siano formate solo da chi sta con l’asse “Renzi-Boschi”? Non ci pare.

Ad esempio, appena poche ore dopo la “lunga notte del Pd” è Davide Cadeddu su Huffinghton Post (notoriamente non certo un quotidiano di destra) a scrivere in un articolo dall’eloquente titolo: “Si scrive Pd (Partito democratico), si legge in altro modo”. Ne riportiamo alcuni passaggi estremamente significativi secondo il nostro parere:

Ormai a chi non era ancora chiaro, lo è diventato. Venerdì notte – repetita iuvant –, Gianni Cuperlo, Michele Emiliano e Andrea Orlando hanno ricevuto una rivelazione: il concetto che Matteo Renzi ha della democrazia è tutto suo particolare. Devono avergli spiegato, quando era piccolo, che, se hai la maggioranza, puoi fare tutto quello che vuoi. Anche mancare di rispetto alla minoranza, ignorarne i diritti, evitare o sbeffeggiare il dialogo. Il dialogo per Renzi, infatti, può consistere sì nell’ascoltare, come atto di buona educazione, ma si conclude sempre confermando quelle che erano le sue idee di partenza. Lo ha mostrato e finanche dichiarato in vario modo. Se poi non ha tempo, anche l’educazione viene messa da parte. Ruit hora. Bando alle ciance: “Si gioca a quello che dico io”. Una volta diventato grande, ha visto l’esempio di Silvio Berlusconi e si è convinto del concetto.

Continua poi Cadeddu “La storia politica di Matteo Renzi è di una chiarezza esemplare. In ordine sparso, basta evocare i nomi di Fassina, Letta, Cuperlo, Marino e Bersani, e a chi ha seguito, anche distrattamente, la politica italiana degli ultimi anni, apparirà un panorama evidente. (…) Dopo essersi impossessato di una struttura di partito, Renzi ha portato avanti una strategia di potere che si riassume così: conforta gli amici, spaventa e isola i nemici.

Torniamo indietro di qualche ora. Andiamo alla cosidetta “lunga notte del Pd”. Chi non è “con Renzi” ne esce distrutto, sfasciato, senza forze, inerme di fronte a un partito che della sua struttura ha mantenuto solo il nome, Partito Democratico appunto. Già qui, a giudicare dai fatti (e non mere opinioni) un controsenso. Democratico senza democrazia.

Fra le anomalie: le liste non vengono consegnate, ma solo lette in sede di direzione del partito. A chi ne chiede copia, come il ministro Andrea Orlando si risponde che “non c’è tempo”, a rispondere l’incaricato on. Emanuele Fiano.  E quando i nomi sono usciti si può dire che “ce n’è per tutti”, anzi no. “Non ce n’è per nessuno”, almeno se non allineati al Capo in carica, Matteo Renzi. Salta, con grande imbarazzo del premier in carica Paolo Gentiloni il suo stesso sottosegretario, Claudio De Vincenti. Opposizioni decimate, e prima ancora umiliate. “Parlaci tu con Orlando, io ho altro da fare“, avrebbe detto Renzi a Piero Fassino. Per due giorni il Guardasigilli, leader della minoranza interna, chiedeva invano di essere ricevuto. Cuperlo apprende di essere candidato a Sassuolo alle tre di notte via sms. E rinuncerà ventiquatt’ore dopo. Con un sms Antonio Di Pietro viene a sapere che non sarà candidato in Abruzzo, a cercarlo era stato proprio Renzi. Evidentemente non serviva più.
Deborah Serracchiani viene candidata nella sua regione, non prima però d’aver dovuto piangere di rabbia e delusione, “se non mi mettete in Friuli non mi candido”. Viene accontentata, una pacca per la futura fedeltà al PdRB senza se e senza ma.

Presunti aspiranti candidati saltati senza un colloquio, un semplice sms, senza nemmeno un messaggino su messenger. Bannati (per usare un linguaggio social) senza apparente motivo. Renzi barricato in stanza, una stanza blindata, nessuno o quasi può “disturbarlo” e infatti a un certo punto sembra abbia urlato “Adesso non mi rompete i …, uscite tutti dalla mia stanza!”

Salta l’ex governatore siciliano, Rosario Crocetta, cui proprio Renzi aveva promesso “seggio sicuro al Senato” purché si facesse da parte in Sicilia. Servito.

Saltano anche i nomi di Andrea Martella, parlamentare di lungo corso stimato, molto stimato da Walter Veltroni e anche del giovane Marco Sarracino, il portavoce della mozione, 28enne, il più giovane di tutti.

Gianni Cuperlo apprende di essere candidato a Sassuolo alle tre di notte. Via sms. Rinuncerà ventiquatt’ore dopo. Al suo posto quel Claudio De Vincenti prima escluso. Fuori anche Lo Giudice, lo stesso Andrea Orlando è infine candidato ma a Modena (partita molto difficile per lui). Il presidente pugliese, Michele Emiliano, non riesce a tutelare nessuno dei suoi. Fuori Antonio Funiciello  e Ermete Realacci, vicini al premier Gentiloni. Si avvicina il momento di #paolostaisereno…

Ridimensionate anche le “quote” di Graziano Delrio che è candidato al collegio uninominale di Reggio Emilia ma senza candidature al proporzionale.

Arrivano i nuovi: la giornalista Francesca Barra, Patrizia Prestipino a Roma, in Campania il figlio del governatore De Luca (quello delle fritture di pesce e delle non troppo velate minacce a Luigi Di Maio, Marco Travaglio e qualche altro).

In buona sostanza, secondo i “conti” di Matteo Renzi che stima 200 eletti nelle fila Pd, circa 160 dovrebbero essere tutti fra i suoi, anzi “loro”. Mentre le minoranze Pd si spartirebbero la quarantina di seggi residui divenendo quasi ininfluenti.

Perché, allora, PdRB (Partito di Renzi/Boschi)? Durante la “lunga notte” Maria Elena Boschi è stata sempre presente, è in cabina di regia col Capo. Maria Elena Boschi, oltre all’uninominale di Bolzano, sarà candidata con il proporzionale nei seguenti collegi: Lazio (Guidonia/Velletri), Lombardia (Cremona/Mantova) e Sicilia (Marsala/Bagheria e Messina/Enna). Sempre lontano da Arezzo, sicura di vincere. Il partito, comunque, è ormai cosa loro.

Luigi Asero

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Mi piace ascoltare, non semplicemente sentire. Il dialogo non è "parlare" ma consentire alle anime di incontrarsi

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