di Luigi Asero

La droga -si sa- crea dipendenza, una sorta di legame con il soggetto assuntore che spesso è destinato a non spezzarsi mai più. Ora se proviamo a traslare questa semplice spiegazione di un banalissimo meccanismo (quello della dipendenza) al vivere comune di un popolo ecco che il popolo è l’assuntore mentre politici ed establishment diventano gli spacciatori. Di quale droga? Semplicemente di una vita migliore o più accettabile.

Così si diventa capi di partito, leader di una generazione che leader (veri) non ha.

Inutile parlare di percentuali di gradimento, di vivibilità dei luoghi amministrati, di share e di follower. Siamo in mano a un manipolo di spacciatori di bugie. E le bugie, per buona parte del popolo, sono come la droga per i tossicodipendenti: brutte ma desiderate. Perché quale sarebbe l’alternativa alle bugie? Ovviamente la verità, la realtà. Proprio quella realtà da cui si chiede di evadere. Così si entra nel meccanismo perverso.

Perché cambiare la realtà vuol dire una volta per tutte affrontarla e prendere atto di cosa è, per comprendere cosa si potrebbe modificare. Ma nessuno vuol assumersi l’ingrato compito di affrontare la realtà, così si delega ad altri (ai politici cioè) il potere di cambiarla. I politici (buona parte di essi) sanno bene che cambiarla veramente equivarrebbe a firmare la propria condanna politica perché, venute meno le ragioni del malcontento, nessuno nel popolo sentirebbe più l’esigenza di dover cambiare, ergo verrebbe meno l’esigenza di delegare il compito al politico.

Parimenti per mantenere la situazione di bisogno il politico ha necessità di diffondere bugie, di spacciarle per verità, per soluzioni, diventando così esso stesso “il problema”.  Insomma il serpente che si morde la coda.

Difficile uscire da una situazione in cui il controllore dovrebbe essere controllato e in cui il controllo del controllore è affidato allo stesso controllato. Una situazione da cui appunto non si esce. Così, per questo semplice meccanismo umano si diventa spacciatori di bugie. E noi, popolo, drogati di falsità.

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Mi piace ascoltare, non semplicemente sentire. Il dialogo non è "parlare" ma consentire alle anime di incontrarsi

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