Sei gli ergastoli che la Corte d’Assise di Milano ha deciso per l’omicidio della testimone di giustizia Lea Garofalo, assassinata e sciolta nell’acido dopo aver collaborato con gli inquirenti.

La massima pena (con isolamento diurno per un anno) è stata decisa per l’ex compagno della donna, Carlo Cosco così come per i cugini Giuseppe e Vito Cosco, nonché per Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino.

Lea Garofalo, 35 anni, nel 2002 aveva iniziato a collaborare con l’Antimafia nelle indagini sulla faida tra i Garofalo e il clan rivale dei Mirabelli. Poi, nel 2006, aveva abbandonato il piano di protezione e lasciato la località segreta dove viveva. Nelle sue dichiarazioni, Lea Garofalo aveva parlato anche degli omicidi di mafia avvenuti alla fine degli anni ’90 a Milano. Come quello di Antonio Comberiati, ucciso nel 1995, nel quale era stato coinvolto anche il fratello.

Secondo le indagini, Carlo Cosco ha organizzato l’agguato teso a Lea Garofalo mentre questa si trovava a Milano con la figlia. Proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, Cosco ha attirato la sua ex a Milano nello stabile di viale Montello 6, un palazzo che ospita molti parenti dei caduti della guerra di ‘ndrangheta. Lo scorso 24 novembre Lea Garofalo partecipò a una riunione di famiglia per decidere dove la figlia avrebbe proseguito gli studi dopo le superiori. Le sue tracce si sono perse nel pomeriggio quando alcune telecamere l’hanno inquadrata nella zona del palazzo e lungo i viali che costeggiano il cimitero Monumentale. La figlia e il padre erano alla stazione Centrale ad attenderla insieme al treno che avrebbe dovuto riaccompagnarla al Sud. Almeno quattro giorni prima del rapimento, Cosco aveva predisposto un piano contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove è stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla «con un colpo», sia il magazzino o il deposito dove interrogarla, e infine l’appezzamento dove è stata sciolta nell’acido. La distruzione del cadavere ha avuto lo scopo di “simulare la scomparsa volontaria” della collaboratrice e assicurare l’impunità degli autori materiali dell’esecuzione. Sabatino e Venturino hanno materialmente sequestrato la vittima per poi consegnarla a Vito e Giuseppe Cosco, i quali l’hanno interrogata e poi uccisa con un colpo di pistola. Per poi scioglierne il corpo nell’acido nella zona di San Fruttuoso, a Monza.

Nella sua requisitoria, il pm Marcello Tatangelo aveva detto: “Questi vigliacchi si sono messi in sei per uccidere una donna indifesa… Date giustizia a questa donna, a lei e a chi la piange. Perché i colpevoli sappiamo chi sono… Condannateli alla pena giusta, alla pena che meritano. Non la sconteranno, ed è giusto, perché la Costituzione non lo prevede, ma sconteranno diversi anni in carcere e chissà se gli verrà un minimo di rimorso che mai hanno avuto in questo processo”. Il pm ha chiesto a giudici di non concedere le attenuanti ad alcuno degli imputati. Secondo il pm,  “chi non ha premuto il grilletto non è migliore degli altri e non può differenziarsi in un delitto orrendo come questo, caratterizzato da crudeltà inumana e pervicacia. È orrendo pensare a una donna indifesa, legata, torturata, a cui hanno sparato in testa… È orrendo pensare a un padre che sfrutta il desiderio della figlia di avere una felpa”. E infatti, nella sua requisitoria, durata oltre 14 ore, il magistrato ha chiarito che Carlo Cosco riuscì a invitare Denise e Lea a Milano quei giorni del novembre 2009, facendo leva sul fatto di acquistare dei vestiti alla figlia e ricomporre la serenità familiare perduta.

Determinante è stata ai fini processuali la testimonianza della figlia di Lea (come dell’assassino), Denise, ora maggiorenne. “Il fatto più importante oggi è che una giovane ragazza a cui hanno ucciso la mamma ha avuto il coraggio di essere testimone di giustizia. Ha rotto la paura e l’omertà e ha portato il suo contributo a scrivere una pagina di giustizia e verità”. La ragazza ventenne ha atteso nascosta per motivi di sicurezza, la sentenza di condanna. Il legale, emozionato, ha sottolineato l’intelligenza e il coraggio di Denise, che si è costituita parte civile contro il padre imputato nel processo e sottolineato che il Paese deve essere orgoglioso di una ragazza come lei.

In Tribunale erano presenti anche don Luigi Ciotti (presidente della storica associazione antimafia Libera); Nando Dalla Chiesa (figlio del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia) e l’attore e consigliere regionale lombardo Giulio Cavalli.

Luigi Asero

 

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